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In Italia quasi un'impresa su due è sui social network
Se da un lato il social network non è più questo sconosciuto per le imprese italiane, dall’altro, è anche vero che gli strumenti del web 2.0 non sono ancora pienamente diffusi.
E’ quanto emerge dall’indagine della Fondazione CUOA che - su un campione di 215 manager - ha rilevato come il 44% delle aziende sia presente sui social network, individuando nella mancanza di conoscenze approfondite e competenze specifiche, il principale ostacolo alla capillare estensione delle reti sociali on line.
I siti vetrina e le caselle di posta elettronica del web 1.0 non bastano così le imprese per relazionarsi con i consumatori, e in generale con gli utenti di internet, puntano soprattutto su Facebook (59%) e Linkedin (45%), seguiti da Youtube (22%) e Twitter (18%).
Questi quattro ambienti presentano modalità e obiettivi diversi: se Facebook offre una cornice d’interazione amichevole, Linkedin ha una connotazione essenzialmente professionale, mentre Youtube garantisce grande visibilità attraverso la diffusione e la condivisione di file video e Twitter permette una comunicazione rapida adatta agli aggiornamenti in tempo reale.
Una volta provati difficilmente si riesce a farne a meno, il giudizio infatti è in larga parte positivo, anzi c’è voglia non soltanto di consolidare la propria presenza ma addirittura di espandersi in altri ambienti social che offre il web 2.0.
Ricerca di potenziali clienti e promozione di prodotti e servizi, sono queste le ragioni fondamentali che spingono le imprese ad aprirsi ai network sociali; ben 7 aziende su 10 dichiarano di avere avuto risultati positivi in termini di nuove idee per il marketing e la comunicazione, lo sviluppo di affari oltre che un valido feedback sulla propria attività.
Tra coloro, invece, che hanno deciso di non essere presenti sui social network, il 40% degli intervistati considera tali strumenti non utili a proprio business, ma ciò che maggiormente risalta è la consapevolezza di non conoscerli sufficientemente (per il 25%) e di non possedere una preparazione adeguata alla loro corretta gestione (per il 13%), la parte restante del campione ammette di temere la fuga di notizie riservate o il pericolo di attacchi informatici.
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