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Scuole di giornalismo : c'è corso e corso

di Sciltian Gastaldi

I corsi per imparare la professione sono veramente un'opportunità? Un intervento per difendere la formazione: "non tutti gli istituti sono uguali"

Mi inserisco nel dibattito scuole di giornalismo sì o no con quello che non definisco un articolo, ma semplicemente un'opinione.

Mi sembra che da parte di chi intraprende il mestiere nel vecchio modo, "on the road", ci sia un forte pregiudizio verso i corsi di giornalismo in generale. Eppure, proprio la verifica delle proprie informazioni dovrebbe essere un classico della preparazione di qualunque aspirante comunicatore... Infatti, se si andasse a spulciare il tipo di pratica e di teoria che viene svolto nelle varie scuole di giornalismo, risalterebbe la grande varietà che caratterizza questo panorama.

Per intenderci: un corso di scrittura giornalistica per corrispondenza o via web, non può evidentemente essere associato a un biennio in una delle sette scuole riconosciute dall'Ordine.

E all'interno delle cosiddette "sette sorelle", un conto è passare due anni sui banchi "a tutta teoria", con materie tipo sociologia della comunicazione, tutt'altro è produrre cinque testate di diverso genere (radio, tv, web, carta e agenzia) poi effettivamente distribuite su una porzione di territorio "reale". Questo significa - per essere didascalici - fare interviste, scrivere articoli, scriverli di nuovo e poi riscriverli daccapo, creare pagine, disegnare menabò, registrare, sbobinare, tagliare, riassumere, carpire dichiarazioni, affrontare i feedback... insomma, fare i giornalisti!

In mezzo a questi due estremi, trovate altre formule più o meno efficaci per formare nuovi comunicatori.

Non dimentichiamoci poi che tutti i corsi, anche i più teorici, prevedono lunghi mesi di pratica sul campo: mi riferisco ai famigerati stage estivi presso testate piccole medie e grandi, che danno anche l'opportunità di entrare in confronto con altri aspiranti giornalisti.
In quelle occasioni, in cui si è messi alla prova in quella che potremmo chiamare la vecchia maniera, ognuno soppesa le proprie competenze. Non può essere un caso che, in tali circostanze, la differenze tra chi proviene dalle scuole e chi si è fatto da sè sia spesso (ma mica sempre: il talento non è un elemento secondario) in favore dei primi.

In ultima analisi, la professione giornalistica è stata fino all'altro ieri l'unica per la quale non era necessaria non solo la laurea, ma neanche la maturità. Infatti l'esame di Stato prevedeva una prova di cultura generale per chi non avesse ultimato le scuole superiori. Non vi sembra che fosse una situazione bizzarra per i comunicatori del domani?

L'ultima riforma, che porterà migliaia di laureati in giornalismo al praticantato e quindi al professionismo, rischia di sfornare altrettanti disoccupati in un settore che appare vicino alla saturazione. Tuttavia, il giornalismo è in veloce cambiamento e probabilmente da qui a cinque anni si apriranno nuovi modi di fornire informazione, magari perfino in grado di assorbire un'offerta così più vasta di quella attuale. E se così non sarà, come penso, una più dura gavetta sarà un banco di prova in grado di selezionare ulteriormente.

In ogni caso, l'idea in sè della preparazione culturale unita a quella pratica per formare i giornalisti del XXI secolo, rappresenta per me la giusta soluzione.

(inserito il 22/05/2002)