Sei nel settore: Giornalisti junior e apprendisti


Io, ex stagista, vi spiego come entrare in un giornale

di Omar Sonetti


A colloquio con Marco Pasciuti

La parola a un reporter diventato giornalista "sul campo". Servizi e articoli giornalistici a 360 gradi: dallo sport, alla politica, passando per lo spettacolo. Un percorso professionale che lo ha portato ed essere giornalista "puro". Merito di doti e dedizione personali. Marco Pasciuti, diventato giornalista per merito, spiega come raggiungere la professione più bella del mondo. Il punto fondamentale? Scoprire dentro se stessi le doti giuste.

Descrivici di cosa ti occupi in questo momento
Faccio parte della redazione Attualità del freepress "Leggo", nella sede centrale di Roma. Scrivo principalmente di cronaca nazionale, ma mi occupo anche delle pagine di Formula Uno e Motomondiale. L'Attualità è un approdo cui sono arrivato dopo aver fatto la spola tra lo sport e gli spettacoli.

Come sei arrivato a questo traguardo? Sintetizzaci il tuo curriculum
Durante i primi anni di università (Scienze della Comnicazione)a Roma ho cominciato a guardarmi intorno e a cercare un modo per oltrepassare lo stargate.
Per circa un anno sono stato il responsabile della redazione romana di "WorkOut", un trimestrale tedesco incentrato sul mondo dell'università che in Italia veniva distribuito in allegato con "Il Manifesto". I primi stage sono stati fondamentali: ho trascorso un paio di mesi a Rai International, Giornale radio, redazione Onde Corte, dove ho conosciuto professionisti fondamentali per la mia formazione. E' stato il primo contatto con un prodotto giornalistico di alto livello e con una sensazione difficilmente descrivibile: sapere che il tuo lavoro e il tuo pensiero entrano nel microfono e vengono veicolati a centinaia di migliaia di persone. Nel caso di Rai International a migliaia di km di distanza, agli italiani emigrati e sparsi per il mondo, cari amici vicini e lontani...
Altrettanto fondamentali sono stati i mesi di stage a "Leggo". Sei, per l'esattezza, divisi in due tranche tra il 2002 e il 2003. A via Nazionale c'è stato il primo vero contatto con la realtà di un quotidiano, di quelle in cui, mentre il pomeriggio sei lì a lavorare, inspiri a pieni polmoni l'aria della redazione, impari a conoscerne i ritmi, respiri le notizie e sai che il giorno dopo il tuo nome lo leggerai sulla carta in tersta ad un pezzo... Anche se soltanto in qualità di semplice stagista.
Poi, nel 2004, è arrivato il praticantato. Me lo ha offerto un quotidiano di Latina, "La Provincia", nella redazione sportiva. Un'esperienza dura, ma estremamente formativa. Dura perché gli orari erano letteralmente massacranti e i feedback in termini di apprezzamento del lavoro da parte dei superiori praticamente nulli. Formativa perché ho imparato a stare in strada (nella fattispecie sui campi di gioco...) per trovare le notizie, ma soprattutto a tenere i rapporti con le fonti. Per poi, una volta tornato in redazione, trasferire tutto su pagina e imparare il valore degli spazi cartacei e, il giorno dopo (quando gli articoli sono usciti e hanno fatto arrabbiare qualcuno), dei rapporti con le istituzioni, sportive e non.
Dopo tre anni, durante i quali il mio sogno era quello di scappare di nuovo a Roma, l'offerta di ritornare a "Leggo", questa volta in qualità di redattore. Addio Latina, arrivo Roma. Nel gruppo "Il Messaggero". La dimostrazione lapalissiana dell'utilità degli stage.

Dove hai fatto i primi passi come giornalista? Come ti è venuta l'idea di intraprendere un percorso professionale così complesso?
Non so come mi sia venuta. So soltanto che è stato un pensiero quasi fisso dai dodici anni in avanti. Quando alla scuola media mi confrontavo con i primi rudimentali tentativi di esercizio e con i vari generi di scrittura. Erano gli anni di "Mani Pulite" e la sensazione di rivoluzione in atto (che poi non si è rivelata tale, ma ero un bambino, non potevo saperlo e la sensazione mi piaceva e mi bastava) mi teneva incollato al telegiornale.

Giornalista si nasce o si diventa?
Giornalisti si diventa, fondamentalmente. Ma occorrono doti che, forse, hanno natura innata. O ce l'hai o non ce l'hai. Si può anche diventare giornalisti perché lo si considera un lavoro come un altro. Poi però, se non ci si mette qualcosa di proprio, nella stragrande maggioranza dei casi si finisce per fare gli impiegati del catasto. E ci si perde il meglio della professione.

Quali sono i pregi e i vantaggi di questa professione?
Un pregio e un vantaggio che si sommano: il fatto di essere testimoni di ciò che accade. E di poter dire, se non "io c'ero" (come capita ai più bravi e fortunati), se non altro "io l'ho vissuto e raccontato". In sintesi è la prospettiva narrativa che rende capaci di strutturare gli eventi che scorrono attorno ad una vita intera, quella del giornalista, e di organizzarli in un unico grande racconto. Un racconto che permette a chi racconta di possedere (o quantomeno averne l'illusione) la consapevolezza dei fatti avvenuti e, quindi, di poter dire di aver vissuto e di non aver lasciato passare gli eventi a braccia conserte.
Poi c'è che il lavoro lo fa bene e chi no, chi lo fa con cognizione di causa e chi no. Anche i dodici apostoli erano testimoni. E anche tra loro qualcuno ha tradito.

Che consigli ti senti di dare a chi vuole diventare giornalista?
Consigli pochi, quasi nessuno. Sono giovane e di consigli ne avrei bisogno anch'io. Tanti. Di sicuro un incoraggiamento: non stancarsi mai di proporsi e di bussare alle porte. Con la consapevolezza (che non diventi mai tracotanza) delle proprie capacità. Con tutta l'onestà intellettuale possibile. E con la spavalderia dei puri. Finché è possibile.
Un consiglio però è d'uopo: fare degli stage e non stancarsi di lavorare. Se l'idea è quella di diventare davvero giornalisti la stanchezza delle ore passate in redazione non la si sente nemmeno. Almeno attorno ai 20 anni. Poi subentrano esigenze diverse.

Dove ti dirigeresti, in che settore, se dovessi ora iniziare il tuo percorso professionale?
Di certo lo sport è uno di quei settori in cui si trova la possibiltà di muovere i primi passi (specie nei giornali più piccoli, che tendenzialmente hanno sempre bisogno di qualcuno che vada al campo e racconti la partita), che consente un buon approccio al racconto e in cui ci si forma nel migliore dei modi. Questo se già non si parte da una base diversa: quella della politica, ad esempio. Chi fa politica a livello giovanile teoricamente possiede competenze e contatti che gli permettono di approcciare il mondo del giornalismo in maniera diversa e che magari consentono di partire da un livello leggermente più alto.

(inserito il 10/07/2008)

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